dal 1999 testimone di un’evoluzione

Squarci di luce e colori tra violenza e sparatorie

Il cinema di Seijun Suzuki

Quando si parla di Seijun Suzuki lo si accosta spesso a registi occidentali ben più famosi. Si paragonano il suo cinema e la sua filmografia ad un film di Jim Jarmusch, ad una scena di Kill Bill, ad uno stile registico “alla John Woo”, ad un uso del colore “alla Mario Bava” e ci si dimentica, purtroppo, della sua altissima caratura tecnica, dei suoi numerosi capolavori che finalmente ora, grazie ad una collana firmata Dolmen Home Video, è possibile (ri)scoprire. L’elenco dei film disponibili sul mercato italiano è presto fatto: a parte la parentesi d’animazione con “Lupin III – La leggenda dell’oro di Babilonia” (pubblicato da Yamato) che co-diresse (ma fu più una consulenza registica) insieme a Shigetsugu Yoshida, i primi film del maestro Seitaro Suzuki (questo il suo vero nome) in dvd sono arrivati nell’aprile scorso con tre lungometraggi: “Ufficio investigativo 23: crepate bastardi!”, “La porta del corpo (The Woman Sharper)” ed uno dei suoi più famosi, “Il vagabondo di Tokyo (Tokyo Drifter)”. A maggio sono usciti altri tre film (già recensiti), questa volta tutti imperdibili e sono: “Elegia della lotta”, “La farfalla sul mirino” e “La giovinezza della belva”.

Seijun Suzuki nasce a Tokyo il 24 maggio del 1923. Il suo esordio e la sua prima fase di regista, in cui firma una quarantina di lungometraggi, molti del genere yakuza, non sono particolarmente incisivi. Pian piano Suzuki prende sempre più consapevolezza dei propri mezzi artistici e inizia a firmare alcuni film che si riveleranno poi veri e propri capolavori, ed il suo stile diventa sempre più originale e surreale, fino ad arrivare a livelli inaspettati.
Nel 1963 firma una delle opere più creative e ispirate: “Yaju no seishu”, in Italia conosciuto con il titolo “La giovinezza della belva” o “La giovinezza di una belva umana”.
Da non perdere anche “Tokyo Drifter”, che racconta la storia di un giovane yakuza, tradito, in fuga da tutto e da tutti. E’ una regia che lascia a bocca aperta: scene d’azione all’avanguardia, fotografia e colori esasperati ed un finale indimenticabile.
“Elegia della lotta” era uno dei suoi film preferiti, dove predomina il suo sguardo antimilitarista e ridicolizzante sul Giappone del 1936, quando avvenne il colpo di Stato militare, il tutto visto con gli occhi di uno studente decisamente impacciato.

Ma il suo grado di esasperazione registica (non a caso venne definito il Fuller giapponese) arriva a livelli troppo “alti”; piace al pubblico che rimane sempre più estasiato dalle sue crude storie noir in colori sgargianti, ma piace meno ai produttori della Nikkatsu, visto che lo licenziano in tronco dopo l’uscita de “La farfalla sul mirino” del 1967, un flop commerciale che divenne il suo vero e immenso capolavoro.

“E’ un noir violento e destrutturato, dove la trama (complicata) perde valore di fronte al processo di stilizzazione e di astrazione delle singole scene, ai movimenti di macchina che ribaltano ogni grammatica tradizionale, all’uso straniante degli stilemi erotici o violenti dei film di serie B. – Paolo Mereghetti, Dizionario dei film 2008”

Dopo il suo licenziamento lavorò per una decina di anni per la televisione giapponese ma certamente con minor incisività ed originalità. Torna al cinema nel 1977 e si dedica ad una “trilogia” sull’imperatore Taishō filmandola nel 1980, 1981 e 1991.
Le sue ultime opere sono “Pistol Opera” (speriamo che qualcuno lo pubblichi presto), una sorta di remake up-to-date di “La farfalla sul mirino”, e “Princess Raccoon”, un originale musical diretto nel 2005 e presentato al Festival di Cannes.

data: 01/06/2008