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Cronache dalla sala – Quando il buonismo diventa qualunquismo

Che fine ha fatto il lato oscuro nel cinema?

Ci sono film concepiti e costruiti per aprire varchi verso i luoghi più reconditi della nostra coscienza. Sono opere cinematografiche che scardinano porte e smantellano certezze: lungimiranti e pessimisti, cinici e geniali, rappresentano lucide visioni del mondo, della vita e dell’uomo.

Pensiamo agli universi di Lynch, al decadentismo di Wilder, al surrealismo di Buñuel o ai fascinosi psicologismi di Hitchcock, ognuno a modo suo interprete del lato oscuro dell’animo umano, vero e proprio motore di storie straordinarie e di trame indimenticabili.

In fondo che cos’è un’opera cinematografica senza una forte componente di contrasto, senza una libera e personale interpretazione di una propria visione del mondo? Più o meno uno dei tanti film generalisti che oggi abitano alle nostre latitudini.

Il lato oscuro sembra essere stato oscurato da produttori oscurantisti che hanno ingabbiato il “troppo cattivo” e lo hanno addomesticato per la grande massa sotto forma di regola rassicurante e riconoscibile. Tutto è fin troppo simile, adattato forse alle richieste di un pubblico desideroso di tante spiegazioni e di poche preoccupazioni, l’asticella del concetto di male e di lato oscuro ha continuato ad abbassarsi adattando l’utenza agli standard del politicamente corretto.

La paura di perdere i consensi è grande da parte delle filiere produttive e così il passo da “cinema medio” a “cinema mediocre” sembra essere stato compiuto.

Le personali visioni del mondo stanno scomparendo a scapito di una morale generica che accontenti tutti. Il guizzo, il graffio, la personale interpretazione sembra svanita, il cinema si consuma sempre più alla stregua di un grande rito collettivo, una sorta di messa cantata con un finale sempre identico. Che si parli di commedia, di action, di horror o di animazione la liturgia è sempre la stessa, le pellicole si assomigliano tutte, così come l’essenza dei loro interpreti… personaggi superficiali che sembrano partoriti da schemi pre-determinati.

Per quanto possa sembrare anacronistico è dall’elaborazione della parte più oscura, la cosidetta “ombra junghiana”, che scaturisce la scintilla di luce che attraverso una geniale messa in scena del racconto produce sempre i migliori risultati, ma oggi il cattivo e la cattiveria sono stati ammaestrati a favore del buonismo che alla lunga diventa sinonimo di qualunquismo.

Senza andare troppo lontano basterebbe fermarsi alla metà degli anni ’80 per vedere un film come “Orwell 1984”, un’opera diretta di Michael Radford e basata sul celebre romanzo di fantascienza, per capire quanto un’opera così greve e inquietante (apologia sul controllo assoluto delle menti da parte di un totalitarismo opprimente), risulterebbe spossante e inconcepibile per il fragile pubblico medio di oggi addomesticato agli esiti certi inclusi nel prezzo.

Il cinema vive il proprio presente come se non esistessero più reali problemi e quelli che inscena troppo spesso vengono sintetizzati alla stregua dell’effetto analgesico di un farmaco che allevia momentanea gli effetti di un disturbo ma non non si occupa o si preoccupa, purtroppo, di far scoprire la reale causa.

data: 21/12/2011