dal 1999 testimone di un’evoluzione

Cronache dalla sala – “Tutto l’amore del mondo”

L’involuzione della specie

Il 2010 del cinemino italiano prosegue senza sosta, dopo Veronesi e Ozpetek ancora presenti in sala con i rispettivi “Genitori e figli” e “Mine vaganti” ecco sbucare all’improvviso il turista per caso Nicolas Vaporidis al volante di una carretta scassata ma molto trendy. Il bel Nicolas insieme ad un’allegra brigata di compagni di viaggio, gira l’Europa con l’intento di scrivere una guida sui luoghi romantici del vecchio continente. Basteranno Barcellona, Parigi, Amsterdam e infine l’Inghilterra a far innamorare il nostro (inizialmente) distaccato protagonista?

Senza arte nè parte il cinema di casa continua a collezionare miserie.
“Tutto l’amore del mondo” pellicola prodotta dallo stesso Vaporidis e diretta dal romano Riccardo Grandi, più che a un vero film somiglia tanto allo “spin-off” di una campagna pubblicitaria.

I “Cervelli in fuga” per l’Europa che fumano spinelli, affrontano sfide e abbordano straniere sono l’inconsapevole incarnazione dei danni prodotti dal grande sogno moderno dello spot in TV. I nuovi caroselli fanno male al cinema, soprattutto quelli costruiti a puntate perché impongono linguaggi, schemi, personaggi e luoghi comuni che il cinema di casa ormai indebolito e senza più anticorpi finisce per assorbire e riproporre senza pudore. Il nostro cinema sta continuando la sua barbara opera di imbastardimento. E’ dura costruire un linguaggio cinematografico quando la maggior parte dei nuovi registi che approda sul grande schermo proviene dai videoclip, dalla pubblicità o dalla televisione e come diretti referenti ha maestri che si chiamano MTV, TIM, Mamma Rai o Sorella Mediaset.

Tornando a parlare di “Tutto l’amore del mondo” e del tema dell’italiano in fuga alle prese con la terra straniera, il confronto con “Marrakech Express” di Gabriele Salvatores datato 1989 o addirittura con “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa” di Ettore Scola datato 1968 è d’obbligo, non tanto per un raffronto qualitativo, quanto per verificare una sorta di involuzione cinefila.

Nel 1989 Salvatores, attingendo dalla lezione del “Grande Freddo” di Lawrence Kasdan, provava a dire qualcosa su una generazione di trentenni/quarantenni in bilico tra un passato di spinte evolutive andate a vuoto e un detestabile presente piatto e borghese. La fuga significava scrostarsi di dosso quella pesante patina borghese e ritrovare con impeto e ardore una giovinezza perduta.

Ancor meglio 20 anni prima Ettore Scola col suo spassoso “Riusciranno i nostri eroi…” prende spunto dal “Cuore di Tenebra” di Joseph Conrad per dissacrare la figura e lo spirito del provincialotto italiano “in the world”, che vive il viaggio con l’illusione della grande avventura esotica destinata ad infrangersi nei propri istinti caratteriali di animale da cortile.

La goliardica fuga dei giorni nostri raccontata in “Tutto l’amore del mondo” invece somiglia tanto a un’esperienza di vita che può trovare la sua massima forma d’espressione in un profilo di Facebook attraverso commenti, post e fotografie. Guardando i “Vaporidis Boys” per le strade d’Europa ci torna in mente un famoso proverbio veneto che dice: “A viajare se se descanta, ma chi che parte mona torna indrio mona!”.

data: 22/03/2010