dal 1999 testimone di un’evoluzione

Free Cinema inglese

Gli “Young Angry Men” che fecero la storia.

Il cinema europeo ha avuto momenti storici importanti, se in Francia verso la fine degli anni ’50 nasceva il movimento culturale chiamato “Nouvelle Vague” e in Italia più o meno nello stesso periodo sulle ceneri del neorealismo si gettavano le basi per la grande “commedia all’italiana”, anche in Inghilterra si andava a formare un importante movimento cinematografico denominato “Free Cinema”.

Il “Free Cinema” è un movimento di cineasti nato nella capitale britannica, nella seconda metà degli anni ’50 che si divide in due importanti fasi storiche: uno eroico e impegnato che va dalla sua fondazione fino agli inizi degli anni ’60 l’altro, quello dei grandi successi internazionali, che prosegue fino agli anni ’70 con film come “Sabato sera, domenica mattina” (1960) di Karel Reisz, “Darling” (1965) di John Schlesinger, “Sapore di miele” (1961) di Tony Richardson. La prima parte, quella eroica, chiamata dai critici e dagli storici: “Kitchen Sink” (il lavandino di cucina) è fatta di un cinema estremo e volutamente trasandato che intende esplorare e mettere in scena la triste e sporca vita di tutti i giorni.

Finanziati dal British Film Institute con un fondo a favore del cinema sperimentale, vengono realizzati una serie di film inchiesta sui luoghi e momenti della vita sociale della città. L’importante progetto si avvale sin dall’inizio della collaborazione di scrittori di teatro del calibro di Harold Pinter e John Osborne, denominati “Young Angry Men”, i giovani arrabbiati di allora che, attraverso le loro idee e i loro copioni, realizzano opere come “O Dreamland/Terra di sogno” (1953) di Lindsay Anderson, “Mamma non vuole” (1955) di Karel Riesz e “Tutti i giorni eccetto Natale” (1957), un cortometraggio sempre di Anderson ambientato nei mercati generali e girato come una vera e propria docu-fiction.

Questi giovani cineasti, veri e propri padri di Ken Loach, costruiscono il nuovo movimento dettando alcune fondamentali regole: il cinema deve aderire al reale, mostrarne la vera facciata, renderla pubblica e comprensibile.

Ma mentre questi cinemaker si aggirano nelle periferie inglesi e nei bassi fondi di Londra, la città sta cambiando volto: il rock britannico, la moda trasandata giovanile, la rivoluzione sessuale permissiva, stanno trasformando Londra nella City più “swinging” e “trendy” del mondo. A questo punto i registi del “Free Cinema” danno vita in maniera istintiva alla seconda fase del loro movimento, spostano l’attenzione dal mondo del sottoproletariato a quello effimero e più moderno della musica, della moda, della droga, del romanzo storico visto con uno sguardo al presente.

Di questa seconda fase alcuni tra i film più famosi e conosciuti sono “Morgan matto da legare” (1966) di Karel Riesz, “Tom Jones” (1963) di Tony Richardson, “Georgy, svegliati” (1966) di Silvio Narizzano, il già citato “Darling” di John Schlesinger, “If” (1968) e “Io sono un campione” di Lindsay Anderson. In ognuno di questi film si scopre un attore eccezionale che farà, prima in patria e poi in America, una gran carriera: David Warner, Richard Harris, Vanessa Redgrave, Terence Stamp, Albert Finney, Malcom McDowell, Charlotte Rampling e Julie Christie.

In definitiva, un po’ come la “Nouvelle Vague”, anche il “Free Cinema”, fu un movimento che nacque contro il cinema dei padri, quei padri che fecero la guerra e che non riuscirono mai a fermare lo spietato incedere di quella creatura chiamata “boom economico”, dove le ragioni umane e i sensi di colpa finirono ben presto per lasciare spazio alla cupidigia, alla lotta fra classi e a quel conflitto economico mondiale che ci stiamo portando avanti tutt’ora.

Il cinema avrebbe ancora tante cose da raccontare, ma ormai tra “reboot”, “sequel”, “remake” e “prequel” sembra arenato in una terra abitata da uomini svuotati di talento, di arguzia e di ragione.

data: 12/07/2012