dal 1999 testimone di un’evoluzione

Aleksandr Sokurov

Il regista del tempo

Regista e sceneggiatore russo nasce a Podorvicha il 14 giugno 1951. Trascorse l’infanzia in Polonia e in Turchia al seguito del padre militare. Mentre frequenta l’Università Gork’ij, dove si laurea in storia, inizia a lavorare per una televisione locale. Nel 1975 si iscrive ad un corso di regia presso l’Istituto di Cinematografia di Mosca (il VGIK) dove incontra l’amico e maestro Andrej Tarkovskij (a cui anni più tardi dedicherà la famosa Elegia di Mosca) che lo introduce ai Lenfilm Studios. Tra il 1980 e il 1987 cura la regia di due lungometraggi, numerosi corti e sei documentari, nessuno dei quali ottiene l’autorizzazione della censura sovietica; per esempio “The Lonely Voice of Man”, realizzato nel 1979, viene distribuito solo nel 1987 con l’avvento della Perestrojka e vince il ‘Pardo di Bronzo’ al Festival di Locarno. Sokurov si è anche cimentato nell’adattamento di testi letterari di Shaw, Flaubert e Dostoevskij. Molto apprezzate anche le sue ‘elegie’, di durata oscillante fra i 20 ed i 90 minuti, da considerare come veri e propri esperimenti di poesia visuale.
Il più macroscopico dei suoi progetti è costituito proprio dalla realizzazione di queste elegie, che prosegue ininterrotta ormai da oltre quindici anni (a partire da Elegia del 1986 fino a Elegia della vita del 2006). Sokurov intende l’elegia come “un canto di lode, canto in ricordo di qualcosa che è scomparso, una messa in onore di qualcuno che non c’è più”, una riflessione “su qualcosa che un tempo era di grande importanza : una persona, un fenomeno, un periodo storico” e accosta liberamente le immagini per raccontare il rimpianto, l’assenza di Dio, la vita che si mescola alla morte.

La sua carriera internazionale inizia con il lungometraggio “Madre e figlio” del 1997, quasi privo di dialoghi e ricco di inquadrature praticamente immobili, assimilabili a quadri impressionisti, anche se Sokurov ha affermato di essersi ispirato per il film alla pittura di Caspar David Friedrich, in particolare al dipinto “Monaco in riva al mare”. La storia è quella di una madre malata, ormai in fin di vita e di un figlio che la cura e la accudisce, accompagnandola nel suo ultimo viaggio.
Al centro dell’interesse di Sokurov c’è la Storia, soprattutto quella fatta da quegli uomini che hanno avuto in mano il destino dei loro popoli e proprio per questo ci racconta Hitler in “Moloch” del 1999, Lenin in “Taurus” del 2001 (mai uscito in Italia) e l’imperatore del Giappone Hirohito in “Il sole” del 2005. Proprio “Il Sole” prelude ad un quarto e probabilmente definitivo capitolo, dedicato alla figura letteraria di Faust, attraverso le letture che ne danno Goethe e Thomas Mann. Sokurov dipinge il lato umano di questi tre personaggi poiché la sua attenzione si pone maggiormente verso le passioni, gli isterismi e soprattutto gli errori, tipici dell’essere umano.

Sokurov nelle sue opere racconta dell’uomo e dei complicati moti della sua anima. In seguito l’oggetto del suo sguardo, sempre discreto e penetrante, non saranno solo i grandi protagonisti della storia come nel caso della sua “trilogia del potere”, ma anche le piccole storie universali, in cui i personaggi e i luoghi si sganciano dal contesto contingente per diventare simboli di umanità.
Ecco infatti che nel 2003 realizza “Padre e figlio” che scandalizzò la critica a causa del suo esplicito omoerotismo nella scena iniziale in cui i corpi di padre e figlio giacciono insieme promiscuamente come quelli di due amanti. Questo è il secondo film (il primo fu quello d’esordio “Madre e figlio”) di una trilogia dedicata proprio ai legami familiari, il terzo ancora da realizzare sarà dedicato a Fratello e sorella. In “Alexandra” del 2006 ci narra la storia del viaggio di una nonna che ha chiesto e ottenuto l’autorizzazione per fare visita al nipote militare nell’esercito russo in azione al confine con la Repubblica Ceca. Un viaggio pieno di incontri e conoscenze che la renderanno al suo ritorno una persona diversa. Troviamo qui infatti un’analisi intima del rapporto tra esseri umani messi a confronto con se stessi, ma anche con la Storia del loro Paese e con la loro cultura. Nel 2002 è a Cannes con “Arca russa”, quest’opera rappresenta un notevole esempio della padronanza tecnica dell’autore, realizzato in digitale e in steadicam con l’utilizzo contemporaneo di 33 set e circa mille tra attori e comparse in costume. Preparato per mesi e completato in un’ora e mezza il 23 dicembre 2001, è un film che, semplificando la tecnica, elimina il passaggio del montaggio. Qui Sokurov con un unico, straniante piano sequenza di 96 minuti proietta lo spettatore all’interno di un mondo passato: tre secoli di storia della Russia rivissuti attraverso l’arte. L’arca è il museo Hermitage a San Pietroburgo, dove un regista contemporaneo ed un diplomatico francese dell’Ottocento compiono una visita nel museo attraverso il tempo e gli ambienti, incontrando dentro i corridoi del potere, personaggi famosi: Pietro il Grande, l’imperatrice Caterina, gli zar Nicola I e Nicola II, fino ai visitatori del museo dei giorni nostri.

“Ogni opera artistica è sempre un processo di relazioni, quelle che avvengono dentro di noi, nella lotta tra il bene e il male, e quelle fuori di noi.” In questo pensiero si riassume perfettamente il lavoro che il regista ha cercato di fare in tutta la sua carriera realizzando capolavori che resisteranno per sempre al tempo e alle generazioni.

data: 23/02/2009