dal 1999 testimone di un’evoluzione

Ida Lupino

“Una Stella che brilla nell’ombra”

Figlia di apprezzati attori di teatro di origine italiana, Connie Emerald e Stanley Lupino, nasce a Londra il 4 Febbraio, ma non è dato sapere se l’anno di nascita sia il 1914, il 1916 o il 1918.
Studia alla Royal Academy di Londra ed esordisce giovanissima nel teatro. Dopo il debutto sul grande schermo all’età di quattordici anni nel film “L’altalena dell’amore” (1932) del regista americano Allan Dwan, si trasferisce negli Stati Uniti dove, sotto contratto con la Paramount, appare in “Sogno di un prigioniero” (1935) di Henry Hathaway e dove ottiene il primo successo di pubblico con “La luce che si spense” (1939) di William A. Wellman. Si rivela da subito un’attrice di grande temperamento drammatico, a suo agio però anche nella commedia brillante, nel noir e nel gangster-movie. Film come “Strada maestra” (1940, di Raoul Walsh), “Una pallottola per Roy” (1941, ancora di Walsh ), “Disperato amore” (1947, di Jean Negulesco), “Neve Rossa” (1951, di Nicholas Ray), “Il grande coltello” (1955, di Robert Aldrich) e “Quando la città dorme” (1955, di Fritz Lang) oltre a regalarle ruoli importanti come attrice le consentono di apprendere l’arte della regia da alcuni dei maestri del cinema.

Noi però vogliamo soffermarci sulla sua carriera da regista.
Per lei il passaggio alla macchina da presa avviene per caso quando nel 1949, sospesa dal lavoro dalla Warner Bros, deve sostituire il regista Elmer Clifton alla direzione del lungometraggio “Non abbandonarmi”. All’indomani della cessazione del monopolio delle Major, insieme al secondo marito Collier Young, Ida Lupino fonda la Emerald Production, rinominata un anno dopo The Filmakers, una società di produzione che si prefigge di trattare temi scomodi e scoprire giovani talenti. La Lupino abbandona temporaneamente la recitazione e diviene così sceneggiatrice, produttrice e regista di film di alto spessore centrati su personaggi femminili molto ben analizzati, in cui costringe il pubblico, che normalmente preferiva temi più leggeri, a sperimentare le angosce e le violenze vissute dalle sue eroine (tradimenti, handicap, gravidanze indesiderate, abusi familiari, stupri) la cui vita fatta di routine e semplici sogni viene improvvisamente sconvolta da un evento traumatico che fa crollare tutte le certezze e trasforma i personaggi in creature angosciate e nevrotiche. Troppo scandalose per l’epoca, queste tematiche costarono alla Lupino lunghe negoziazioni affinché le pellicole ottenessero il visto di censura. La scelta di trattare argomenti più vicini alla realtà passa anche attraverso il ricorso a location reali, che, insieme alla sobria estetica low-budget, danno ai film uno stile documentaristico. Sono queste caratteristiche che avvicinano il lavoro della Lupino a quello di altri grandi registi del dopoguerra come Nicholas Ray, Samuel Fuller e Robert Aldrich.

Nonostante sia una figura di primo piano nella storia dello spettacolo, Ida Lupino è pressoché sconosciuta ai più e il suo nome rimane ai margini della storia del cinema americano. È invece importante ricordarla perché nel doppio ruolo di attrice/regista ha saputo trascendere gli stereotipi e le convenzioni del film di genere, come interprete sensibile dei personaggi che le sono stati assegnati e come regista capace di trasmettere quella stessa sensibilità nell’affrontare temi di riflessione sociale solitamente assenti e particolarmente delicati.

Il primo film in cui viene accreditata ufficialmente come regista è “Never Fear” (1950), nel quale ad una giovane ballerina la poliomelite preclude le possibilità di carriera. Segue “La preda della belva”, anch’esso del 1950, in cui una ragazza viene violentata poco prima di sposarsi e ne rimane gravemente traumatizzata, “Hard, Fast and Beautiful” (1951) mostra invece una madre ambiziosa decisa a far intraprendere la carriera di tennista alla figlia. Nel 1953 gira “La belva dell’autostrada”, in cui due uomini d’affari in viaggio caricano sull’auto un ricercato psicopatico che li tiene in ostaggio per facilitare la sua fuga e nel 1954 è la volta de “La grande nebbia” (il film più complesso della Lupino) che affronta lo spinoso tema della bigamia. Ancora come regista nel 1966 dirige Rosalind Russell e Hayley Mills in “Guai con gli angeli”, un film ispirato al romanzo “Vita con la Madre Superiora” di Jane Trahey, in cui si narra la vita di alcune giovani in un collegio di suore dove una di loro prenderà poi i voti. Il progetto The Filmakers (che comprende proprio tutti questi film) nasce per perseguire uno specifico scopo: “fare film di alta qualità, con un budget ridotto, film indipendenti che affrontino argomenti provocatori, per raccontare come vive l’America”. I film della Lupino vengono accolti positivamente dalla stampa dell’epoca che ne apprezzava la realistica rappresentazione dei “fatti della vita” e tracciavano un ritratto sconsolato e sconcertante dell’America stessa. Il cinema della Lupino è stato l’unico a proporre, a quell’epoca, uno sguardo sulla realtà alternativo a quello prettamente maschilista promosso da Hollywood e anche l’unico a mostrare con interesse autentico la vita di donne comuni degli anni ’50. I personaggi che racconta sono quasi sempre incapaci di agire, di fare delle scelte, assoggettati alle regole della classe sociale a cui appartengono. Sono uomini e donne che attraversano come “sonnambuli” un’epoca di transizione.

Alla fine degli anni ’50 risponde alla crisi dello Studio System reinventandosi come attrice e regista televisiva. È una delle prime donne a lavorare per il piccolo schermo e, in quindici anni di carriera, si rivelerà la regista più prolifica della storia della televisione. Tra le serie più note dirette dalla Lupino: “Alfred Hitchcock presenta”, “Vita da strega”, “The Twilight Zone”, “Gli intoccabili”, “Boris Karloff’s Thriller”, “Il fuggitivo” e “Il fantasma e la signora Muir”.

Ida Lupino può essere considerata come una delle prime donne regista ad imporsi in un mondo degli affari cinematografici prevalentemente maschile, tanto che venne vista come una femminista ante litteram anche se lei stessa non amava particolarmente questa definizione e a quelli che la ritenevano tale rispondeva con ironia: “Non mi sono mai vista come un personaggio di avanguardia o una femminista. Semplicemente, dovevo fare qualcosa per occupare il tempo tra un contratto e l’altro”. Si spegne a causa di un cancro nel 1999 nella sua abitazione di Burbank.

data: 30/03/2009