dal 1999 testimone di un’evoluzione

Frank Capra

Il cinema, quell’arte meravigliosa.

Che cosa sarebbe stata la cittadina di Bedford Falls se non fosse mai esistito George Bailey (James Stewart), l’indimenticabile protagonista che nel film “La vita è meravigliosa” (1943) rinuncia ai propri sogni per cercare di realizzare quelli degli altri. Ma soprattutto che cosa sarebbe stato il cinema se non fosse mai esistito il grande Frank Capra, il regista italo-americano che grazie al suo indiscusso talento nel raccontare storie ha saputo influenzare intere generazioni di cineasti.

Frank Capra nasce a Bisacquino, un paese in provincia di Palermo, il 19 maggio del 1897, settimo figlio di una coppia poverissima, quando ha appena 6 anni insieme alla famiglia si imbarca per l’America alla ricerca di lavoro e fortuna.

Il piccolo Francesco, questa all’anagrafe il vero nome di Frank, non ha molto tempo nè mezzi economici per l’educazione scolastica, cresce da solo, più per le strade che per gli istituti scolastici. È simpatico, fantasioso e un grandissimo narratore di leggende popolari siciliane. Nella California dove abita, Hollywood è già una mecca, ma soprattutto un’opportunità di lavoro. La sua vena comica lo aiuta e con un po’ di faccia tosta e un po’ di ottimismo riesce a infilarsi nell’entourage del “talent scout”, nonché re della commedia, Mack Sennett.

Diventa scrittore di gags, è un po’ incolto, ma molto ambizioso e pieno di talento. Scrive il soggetto per un lungometraggio che si chiama “Di corsa dietro un cuore” (1916), il suo infantilismo, il suo entusiasmo, il suo ottimismo, il suo stile candido ma asciutto piacciono a quella Hollywood ancora naïf fatta per lo più di emigrati e di impresari un po’ improvvisati.
Nel 1926, nemmeno ventenne, è già regista di un piccolo film muto “La grande sparata”, accetta volentieri le condizioni dei produttori e senza discutere troppo cerca sempre di dare il meglio di sé.

Alla fine degli anni 20 arriva la svolta: affiancato dall’ottimo scrittore e commediografo Robert Riskin, che saprà colmare alcune sue lacune culturali, e dall’affascinate Barbara Stanwick, prima grande star del suo cinema, gira i suoi film più memorabili: “La donna del miracolo” (1931), “Proibito” (1932), L’amaro tè del Generale Yen (1933).
Ma è con gli anni della grande crisi e della depressione che il mondo poetico di Frank Capra prende corpo e diventa quel cinema popolare che distrae, che consola, che appaga il popolo americano alle prese con la svalutazione galoppante e le difficoltà economiche di tutti i loro guai e di tutti i loro dispiaceri.
Il “New Deal”, ovvero il nuovo corso di riforme economiche e sociali, trova in Frank Capra il regista che sa restituire il sorriso alla perduta felicità borghese e con il suo stile un po’ magico mette in scena delle piccole storie locali dal sapore universale nelle quale i buoni che sanno attendere avranno sempre giustizia.

Le trame dei suoi film più famosi si somigliano un po’ tutte: una piccola comunità di provincia, la notizia o il sospetto di una catastrofe e il riscatto finale ad opera dei buoni.
In “La follia della metropoli” (1932) si mette in scena il panico economico del ’29, si sparge la voce che la banca della cittadina sta per fallire, tutti i risparmiatori si precipitano a ritirare i risparmi ma il discorso bonario, persuasivo e convincente del direttore dell’istituto di credito (chiaro omaggio al carisma roosveltiano), rimette a posto le cose e ridà fiducia.

In “Signora per un giorno” (1933) si racconta la storia di una barbona che grazie a un gangster di grande cuore riesce a far credere alla propria figlia in arrivo dalla Francia con il fidanzato ricco, di essere una gran signora e a spese del gangster allestisce una colossale festa di benvenuto nel più grande albergo della città.
In “Accadde una notte” (1934), Clark Gable, giornalista appena licenziato e senza lavoro, salta su un autobus e per caso si imbatte nell’ereditiera fuggita di casa per andare a sposare uno spiantato. Per prima cosa progetta uno scoop, poi si innamora di lei e tra equivoci e imprevisti il finale sarà ovviamente lietissimo.

Nell’America di Frank Capra il male non ha speranza e anche se la politica, la finanza o i mezzi di informazione sono corrotti, tutto questo avrà termine ben presto, perché nell’America che lui ama e venera c’è posto soltanto per gli uomini di buona volontà.

Negli anni a venire realizzò altre indimenticabili pellicole come l’avventuroso “Orizzonte perduto”, “L’eterna illusione”, il dramma politico “Mr. Smith va a Washington”, “Arriva John Doe” e lo scoppiettante “Arsenico e vecchi merletti”.

La sua poetica, le sue pellicole cominciano a perdere colpi verso la fine degli anni ’50, quando il cinema americano privilegia il disagio giovanile, il lato oscuro del benessere domestico e le battaglie sociali, attraverso gli sguardi crudi e le lotte al massacro inscenate da drammaturghi come Arthur Miller o Tennessee Williams. È la nuova Hollywood emergente, fatta di attori maledetti, di scrittori “liberal” e di registi attori un po’ snob.

In questo periodo Capra paga il suo amore fideistico per l’America e la sua ostinazione nel vedere soltanto i lati positivi di quel paese che gli aveva dato la fama e che lui amava senza riserve.

Muore in California nel settembre del 1991 e chissà se l’America, dopo i fatti terroristici del 2001 e i recenti drammatici crolli finanziari con effetti a catena su scala mondiale, riuscirà a trovare il suo nuovo Francesco “Frank” Capra, un angelo custode capace di infondere calore, ottimismo e tanta consapevolezza.

data: 05/09/2012