dal 1999 testimone di un’evoluzione

La cultura non si compra…

…si crea!

Se la cultura in Italia si chiama Placido e Tornatore, come dare torto ad un ministro che si lamenta dei soldi spesi invano per finanziare progetti cinematografici? C’è chi, aggrappandosi agli specchi giustifica l’importanza dei finanziamenti alla cultura citando i grandi capolavori dall’irrisorio incasso come il “Casanova” di Fellini, “L’avventura” di Antonioni o “Umberto D” di De Sica, come se gli interpreti di questo grande cinema fossero ancora tra noi… magari re-incarnati in qualche defilippiano tronista.

Perché anziché iniziare la solita inconcludente polemica non cominciamo a chiederci che cosa è oggi la cultura nel nostro paese e chi sono o chi dovrebbero essere i suoi principali interpreti? La cultura è necessariamente qualcosa che si deve pagare? In base a quali parametri vengono nominati gli esperti dal governo? Scorriamo la lista delle opere finanziate in questi ultimi trent’anni e chiediamoci in quali progetti il nostro Stato ha creduto: quanti successi e quanti disastri… chi ha creduto in cosa e perché, ma soprattutto qual’è il reale valore del nostro cinema nel mondo.

Di fronte a questi dilemmi l’italiano medio, splendidamente incarnato nello stereotipo del politico moderno, non ama mai prendersi responsabilità, meglio demandare tutto al caos pilotato di un salotto TV oppure appellarsi a qualche confusionaria e inconcludente protesta cittadina.

Il dopoguerra è passato da tempo, I grandi registi sono stati sostituiti da grandi ciarlatani, eppure molta gente che manovra a caro prezzo la cultura sembra non rendersene conto. Si pensa che bastino soldi, maestranze e nomi per fare una grande opera e quando mettiamo in campo le migliori ambizioni finiamo per fare film pretenziosi e stantii come “Baaria” di Giuseppe Tornatore oppure polpettoni ingenui e didascalici come “Il grande sogno” di Michele Placido. Ma l’Italia si sa è il paese degli stratagemmi e dei piazzisti e allora via ad urlare e a dibattere purché non cambi nulla, ognuno a citare il proprio interesse, per mantenere il ruolo e per continuare a sfruttare come una zecca il sistema di un paese (af)fondato nell’assistenzialismo.

Caro Stato la cultura non si compra, la cultura si crea.

data: 19/09/2009