dal 1999 testimone di un’evoluzione

Sean Penn – Il versatile

L’antidivo per eccellenza

Sean Justin Penn nasce a Santa Monica in California il 17 agosto 1960, dal regista e attore Leo Penn e dall’attrice Eileen Ryan. Fratello del defunto attore Chris Penn e del musicista Michael Penn, Sean frequenta la Santa Monica High School, appassionandosi da subito alla recitazione e alla direzione di piccole opere in super 8. Debutta come attore nel 1974 in un episodio della serie televisiva “ La casa nella prateria”, ma il suo vero debutto nel cinema risale al 1981 con “Taps – Squilli di rivolta”, dove si cala già con successo nel ruolo del giovane violento e ribelle e dove ruba letteralmente la scena al protagonista Timothy Hutton..

Le sue qualità di attore sono indiscusse e straordinarie soprattutto considerando che i ruoli che spesso ha interpretato sono stati anticonvenzionali e difficoltosi.
Diviene famoso ed amato dal pubblico (ma anche dalla critica) grazie alle sue partecipazioni in celebri film tra i quali Carlito’s Way, Dead Man Walking – Condannato a morte, La sottile linea rossa, Accordi e disaccordi, Mystic River (per cui riceve il premio Oscar come miglior attore protagonista nel 2003), 21 grammi e The Interpreter, solo per citarne alcuni.

Noi però vogliamo soffermarci sulle sue qualità di regista.
Poco più che ventenne, Sean Penn aveva detto a Bruce Springsteen: “Un giorno voglio fare un film dalla tua canzone Highway Patrolman”. E infatti dieci anni dopo, nel 1991, Highway Patrolman è diventata “Lupo solitario” opera prima di Sean Penn come regista. Proprio come nel pezzo di Springsteen, c’è un sergente della polizia stradale che lotta contro le tendenze distruttive del fratello minore reduce dal Vietnam. Tutti i suoi sforzi sono vanificati quando lo vede uccidere senza motivo il proprietario di un bar e la macchina da presa, con un bellissimo zoom all’indietro, lo abbandona al bancone, da solo, dopo quell’assurdo omicidio.
Un ottimo esordio, con forti rimandi alla Hollywood degli anni ‘70, un’estetica sporca e selvaggia e il coraggio di guardare al cuore malato dell’America.
Lupo solitario poteva sorprendere chi ricordava Sean Penn solo per il discusso e complicato matrimonio con Madonna, per le risse, le bevute e i tatuaggi, ma non per chi conosceva le sue vere origini, le sue frequentazioni e i suoi punti di riferimento; da Springsteen, oggi suo grandissimo amico, a John Cassavetes, da Terrence Malick a Charles Bukowsky e Sam Shepard, da Dennis Hopper a Marlon Brando e Jack Nicholson.

La sua successiva regia, “Tre giorni per la verità” del 1995 è una storia “anti-vendetta” molto coraggiosa; racconta di un gioielliere (magistralmente interpretato da Jack Nicholson) che dopo aver visto un ubriaco che investe e uccide sua figlia decide di vendicarsi, attende cinque anni fino alla scarcerazione, ma nel momento del faccia a faccia con l’uomo gli concede ancora tre giorni di tempo, allo scadere dei quali i due troveranno un modo imprevisto per riconciliarsi e per dare una vera svolta alle loro vite ormai in pezzi. Il film vede protagonista anche Robin Wright che di lì a poco tempo diventerà sua moglie e con la quale avrà due figli.

Nel 2001, firma il più importante e maturo dei suoi film “La promessa”, tratto dal romanzo di Friedrich Dürrenmatt. Al centro della vicenda vi è un detective della polizia (nuovamente Nicholson), da poco in pensione ma ancora tormentato dal ricordo di una bambina vittima di un serial killer. Thriller esistenziale sull’inutilità della vecchiaia, sulla giustizia tenuta in scacco dal crimine e sull’impossibilità di arrivare alla verità attraverso la logica delle indagini di polizia. Il film non ha un lieto fine e ci lascia con il protagonista accecato da follia e solitudine, in un finale sconfortante e senza speranza.

Nei film che scrive e dirige Sean Penn vediamo sempre vite in disfacimento, legami di sangue forti e indissolubili, perdite insopportabili. Film che ritraggono sempre la famiglia, la strada e l’America nei loro risvolti più crudi.

Anche il suo bellissimo corto del 2002 sulla caduta delle Torri gemelle (in “11 settembre 2001”), interpretato da Ernest Borgnine, è una dichiarazione d’amore e di appartenenza al suo paese, ribadita da un impegno politico militante.

Il suo ultimo film del 2007, “Into the wild”, ripresentato al Festival internazionale del Film di Roma due mesi fa, ha riscosso un enorme successo. Merito del magnifico cast (tra cui William Hurt, Catherine Keener, Marcia Gay Harden e Emile Hirsch), della storia e della colonna sonora rock-folk, firmata dal leader dei Pearl Jam Eddie Vedder. Mezz’ora di ottima musica che accompagna una storia difficile e realmente accaduta.
Basato sul romanzo di Jon Krakauer “Nelle terre estreme”, Christopher McCandless è un ragazzo appena laureato, con un brillante avvenire davanti a sé. Senza un motivo apparente, Christopher abbandona tutto per l’ignoto. Semplicemente, decide di cambiare nome e di fare il vagabondo in Alaska, a contatto con la natura. La sua esperienza si conclude dopo due anni, quando il suo corpo viene ritrovato senza vita dentro un camper l’ormai famoso “Magic Bus” (ad oggi mèta di pellegrinaggio per milioni di turisti). Un personaggio che Penn ha amato subito, al punto da leggere la biografia di McCandless in una sola notte e cercando di comprare i diritti della storia il giorno dopo. La famiglia McCandless però si dimostrò dubbiosa nel portare la storia di Chris sul grande schermo ma il regista non si arrese, aspettò quasi dieci anni, durante i quali continuò a mantenere i contatti con i genitori e la sorella di Chris, ed iniziò ad abbozzare una sceneggiatura. Quando ormai stava perdendo le speranze, finalmente giunse il consenso dalla famiglia McCandless e si poté dare il via alla produzione. Il messaggio che Penn lancia con questo film è che il viaggio più difficile è quello nel profondo della propria anima, alla scoperta delle sensazioni più pure e genuine, nella celebrazione della libertà. “La convinzione che se si perdona si ama e che la felicità sia tale solo se condivisa maturano nell’anima di Chris, che per tutto ciò paga un pedaggio sovrumano.”

“I film si fanno tre volte: si scrivono, si girano, si montano. Si dovrebbe anche poterli recitare tre volte, per continuare a far crescere il personaggio”. Alla costante ricerca della verità del ruolo e delle scene interpretate, Sean Penn ne ha sempre curato una specie di regia interna; ha sempre cercato tanto la complicità con il regista quanto il controllo sul montaggio finale, per impedire la scomparsa di sfumature fondamentali dal personaggio.
Il suo naturale passaggio dalla recitazione alla regia è l’esito naturale di un percorso artistico, di un’idea ben precisa di cinema dove l’attore e l’autore sono inseparabili.
Forse sta anche in questo il segreto del suo grande successo.

data: 11/11/2008