dal 1999 testimone di un’evoluzione

Marcel Carné

“Cineasta per sempre”

Marcel Carné è stato uno dei registi più significativi del cinema francese della fine degli Anni Trenta. Nato il 18 agosto del 1906 nel quartiere di Batignolles a Parigi, luogo di ritrovo dei pittori impressionisti, restò orfano di madre a cinque anni. Il padre era un artigiano ebanista e cercò di avviarlo al suo lavoro ma senza successo. Si appassionò al cinema fin dall’età di quindici anni: Murnau, Lang e l’espressionismo tedesco, oltre al cinema sovietico della grande stagione e al black film americano, lo affascinarono al punto da persuaderlo a frequentare i corsi all’École technique de Photographie et de Cinéma dove ottenne un diploma come aiuto-operatore cinematografico. Iniziò la sua carriera dapprima come critico sulle riviste “Hebdo-Film”, “Cinémonde” e “Film-sonore”, poi come assistente e collaboratore dei registi René Clair (nel film Sotto i tetti di Parigi) e Jacques Feyder (per La donna dai due volti, Pensione Mimosa e La kermesse eroica).
Nel 1929 investe i suoi risparmi in una piccola cinepresa portatile e assieme a Michel Sanvoisin, diresse il suo primo documentario dal titolo “Nogent, Eldorado du dimanche” che raccontava delle spensierate domeniche dei parigini sul fiume Marna. In questo cortometraggio impressionista, girato tutto in esterni con una libertà, una vitalità ed un ritmo prodigiosi, c’è già dentro tutto lo spirito della futura Nouvelle Vague anni Sessanta.
Nel 1936, proprio grazie all’aiuto di Feyder, Carné riesce a realizzare il suo primo film, “Jenny” a partire dal quale avviene il felice incontro con lo sceneggiatore Jacques Prévert (poeta allora non ancora notissimo), lo scenografo Alexandre Trauner, il musicista e compositore Maurice Jaubert con i quali forma un sodalizio che lascerà un’impronta profonda. La coppia Carné-Prévert, già con il primo film “Lo strano dramma del dottor Molyneux”, sorta di commedia stralunata, dimostrò subito un notevole affiatamento che divenne, via via, sempre più forte. Insieme diedero origine a quel «realismo poetico» che rimase, con le opere dei maestri Renoir e Clair, la più valida proposta del cinema francese tra le due guerre. Il segreto di questa miracolosa intesa sta nella perfetta “complementarietà” tra il cineasta e lo scrittore: intellettuale un po’ freddo, supertecnico raffinato, cultore delle immagini perfette il primo e poeta tutto istinto, ex surrealista, dotato di una fantasia illimitata e ricco di humour popolaresco il secondo, mix perfetto che rese possibile la realizzazione di indimenticabili capolavori.

Sono gli anni del “Fronte Popolare” in Spagna e Francia; i partiti di sinistra si alleano contro la destra reazionaria. Prévert e Carné si schierano dalla parte di un’arte proletaria, del realismo, dove i problemi sociali vengono filtrati attraverso l’elaborazione poetica. La meticolosa cura della scenografia, della fotografia e la disposizione del materiale all’interno delle scene operata dal regista, hanno spesso impedito ai personaggi di liberare la loro carica di umanità nelle situazioni e nei fatti rappresentati sullo schermo. Per molto tempo la critica cinematografica, soprattutto quella francese della Nouvelle Vague, ha trovato nell’opera di Carné solo una veste poetica che non rispecchiava, in termini cinematografici, quel tanto atteso realismo.

Nel 1938 la coppia Prévert-Carné realizza “Il porto delle nebbie”, film che ebbe notevole successo anche grazie alle ottime interpretazioni di Jean Gabin (suo attore feticcio) e Michèle Morgan. Qui la grande abilità di Carné sta nella rappresentazione degli esterni e nella direzione degli attori e quella di Prévert nel riuscire ad amalgamare alcuni temi tardo-surrealisti, tipici della sua poesia, ad una leggera inquietudine alla quale è dovuto certamente il fascino del film. Un melodramma dalle forti tinte noir che ottenne anche un premio alla mostra di Venezia del 1938, anche se fu possibile vederlo nelle sale italiane nella versione integrale solo nel 1959. L’anno dopo, è la volta di “Alba tragica”, considerato per molto tempo un validissimo esempio di collaborazione tra sceneggiatore e regista, dalla cui unione nasce un linguaggio cinematografico pieno di ricche caratterizzazioni dei personaggi e dettagli ambientali.

Quando Parigi venne liberata dai tedeschi, tra il 1943 e il 1945, Carné e Prévert presenteranno il loro capolavoro, “Gli amanti perduti” sontuosa opera ambientata in una Parigi ottocentesca del Re Filippo Luigi I, che narra le storie intrecciate di un famoso mimo e di un grande attore, della loro carriera dagli inizi stentati alla celebrità e dell’amore che li accomuna per una bella donna. Diviso in due episodi, Viale del crimine e L’uomo bianco, il capolavoro di Carnè viene accorciato brutalmente e mandato sugli schermi in un unico episodio, ma anche così si rivelano nel racconto il senso di angoscia e di smarrimento così come la voglia di rinascita in un’epoca devastata dalla barbarie nazista. Il film riesce ad affascinare proprio per il senso della narrazione, per l’abilità con cui vengono intrecciati figure e avvenimenti, per la cura posta nell’inquadratura e nella fotografia e soprattutto per la bravura degli attori, da Jean-Louis Barrault a Pierre Brasseur, da Arletty a Maria Casarès, da Marcel Herrand a Gaston Modot. “Les enfants du paradis” è indubbiamente il capolavoro di Carné e segna l’apice della sua produzione artistica. In seguito produrrà comunque opere di buona qualità come “Teresa Raquin” (1953), “Peccatori in blue-jeans” (1958) anticipatore per eccellenza di tutti i film sui giovani da Chabrol a Truffaut, “Tre camere a Manhattan” (1965), “I giovani lupi” (1968) e “Inchiesta su un delitto della polizia” (1971), senza però raggiungere i livelli precedenti.

Quando era di buon umore faceva notare che il suo cognome, anagrammato, dava Ecran, schermo: come a dire che sin dal nome era segnato da una sorte di cineasta per sempre. Non gli capitava spesso d’essere di buon umore. Molto vecchio, non poteva rassegnarsi a non lavorare, inseguiva progetti, proposte e trattative, persino quando presiedette la giuria della Mostra di Venezia del 1982 annunciò un nuovo film, “Mouche”, tratto da Maupassant, ma il progetto abortì. Nel 1990 ricevette il premio Lumière, morì a Clamart il 31 ottobre del 1996.

data: 18/05/2009