dal 1999 testimone di un’evoluzione

Mario Soldati è ormai riconosciuto come uno dei grandi narratori del Novecento italiano, scrittore raffinato, geniale creatore di intrecci, maestro di investigazioni morali, delibatore di colpi di scena. Di recente, tuttavia, anche il suo lavoro di regista è tornato all’attenzione della critica per la modernissima capacità di muoversi nei meccanismi produttivi del cinema italiano. Dopo gli esordi come regista di squisite commedie sotto il fascismo, e dopo classici come “Piccolo mondo antico” e “Malombra”, Soldati ha realizzato film eccentrici e

“Pulse – Kairo [Kairo, 2001] rappresenta il maggior contributo di Kiyoshi Kurosawa al genere del kaidan eiga, nella declinazione riveduta e corretta alla luce di nuove inquietudini che si affermò tra la fine degli anni novanta e i primi duemila sulla scia del successo commerciale di titoli come Ring [Ringu, 1998] di Hideo Nakata e Ju-on [id., 2000] di Takashi Shimizu. Sebbene però Kurosawa si possa considerare a tutti gli effetti il padrino di quello che sarebbe stato poi denominato

“La prima lunghissima ripresa ad accompagnare i titoli di testa (una fluida visione aerea e notturna di Milano della durata di circa cinque minuti) sgombra subito il campo da qualunque dubbio avesse attanagliato chi è entrato in sala pensando di trovarsi di fronte il Favino confuso ma fondamentalmente onesto tipico dei drammi a sfondo sentimentale da lui interpretati. L’ultima notte di Amore, al di là del titolo volutamente fuorviante, è un prodotto insolito che si lega a una recente tendenza

“(…) Si passa da requel a saga, e a spiegarlo è Mindy, la cinefila del gruppo (il dna è dopotutto quello dello zio Randy, che proprio nel secondo capitolo “originale” passava a miglior vita dopo essere stato sfilettato da Ghostface), quando dopo i primi omicidi appare chiaro a tutti che il killer con la maschera che rimanda all’Urlo di Munch sia tornato in attività. Ovviamente il gioco è sempre quello del whodunit, ma la scoperta dell’assassino con il passare dei

“Il film è pericoloso, ma meno pericoloso dell’essere un essere umano” Takashi Miike A quasi ventitré anni dalla sua prima proiezione pubblica (al festival di Vancouver, da dove prese il via il culto sotterraneo) arriva sugli schermi del Far East Audition, il film che per primo fece comprendere al mondo cinefilo che Takashi Miike era tutto tranne che un regista di opere di scarso spessore. Giocando con lo spettatore, ma soprattutto violando ogni possibile regola del “visibile”, Miike filma un’opera violentissima,