dal 1999 testimone di un’evoluzione

Lorenzo Bianchini, classe 1968, è un regista e sceneggiatore italiano indipendente, autore di numerose opere decisamente interessanti al punto tale da renderlo un vero e proprio autore di culto e decisamente un ufo rispetto al panorama italiano. Autore di pellicole di genere thriller horror, ma sempre con un sottofondo psicologico, debuttò nel lungometraggio nel 2001 con “Radice quadrata di tre” in lingua friulana e si fece subito notare dal pubblico e dalla critica più attenta. Nel 2004 vinse il primo

“Film nato a tavolino (due uomini politici vicini a Mussolini chiesero a Pirandello un soggetto cinematografico, mentre la produzione chiamò a dirigerlo un cineasta di “grande prestigio artistico”) e costellato di problemi (Pirandello non gradisce Ruttmann né la sceneggiatura di Mario Soldati, che poi dirigerà anche le parti dialogate; Marta Abba, compagna del drammaturgo, vorrebbe a tutti i costi essere la protagonista; un assistente del regista fugge con due rulli di pellicola; gli incassi sono molto inferiori alle attese). Eppure

“Palamède e Cador, due marinai, ingannano il tempo a bordo della loro imbarcazione, il Dedalus, in un imprecisato porto del Nord, un luogo senza tempo nel quale sono ben chiari i segni di un mondo oltre la rovina. L’arrivo di Parsifal, un giovane svagato e ingenuo di cui nessuno conosce nulla e che sembra non appartenere ad alcun luogo del mondo, costringe i due marinai a scendere a terra, dopo che il ragazzo ha sciolto il nodo che tiene ancorato

“Sono rari, i film come “L’albero degli zoccoli”, opera che unanimemente riconosciuta come l’apice della carriera di Olmi ma anche come tra le pellicole più importanti degli anni Settanta e non solo. Spicca innanzitutto per il suo approccio rigoroso, la scelta di raccontare la vita contadina, in un periodo storico specifico, utilizzando attori non professionisti che spesso parlano in dialetto e che sono essi stessi contadini”. Estratto dal booklet interno.

“Ancora una volta, Olmi sembra andare in una direzione per poi lavorare astutamente sulla destrutturazione dei generi e del linguaggio. Come in altre occasioni, tra cui Cantando dietro i paraventi o lo stesso L’albero degli zoccoli, Il mestiere delle armi si sostanzia di un genere, quello storico, puntando una dimensione epica, per poi tradire entrambi gli elemtni. Il film di Olmi, quello più ambizioso in termini produttivi, si muove nel territorio di un intimismo che è intriso di Storia ma

“Finale a sorpresa è uno sfavillante divertissement in cui i registi, e Cruz, Banderas, Martinez con loro, ironizzano, autoironizzano, si divertono e fanno divertire - molto - pescando a piene mani dal noto, dal luogo comune ma anche dalle loro carriere e da un bagaglio di esperienza che i tre attori mettono mirabilmente al servizio di un’idea di cinema raffinata nella forma e diretta nell’assunto, un po’ meno caustica e stratificata del passato ma perfettamente a punto nei tempi e nei modi del meccanismo comico-satirico.”. Chiusura della

“Sembra muoversi su un percorso di stampo orrorifico, “Lunga vita alla signora!”, opera che appare aliena rispetto alla filmografia del regista (e lo è per molte scelte di racconto) ma che in realtà è molto coerente con i temi affrontati in altre sedi. E’ una pellicola che intenzionalmente vuole essere claustrofobica: sfruttando le note unità aristoteliche, si svolge in un solo posto e nell’arco di una sola notte…”. Dal booklet interno.

“Nella commistione tra finzione, realtà, rappresentazione, si nasconde il senso stesso di Cantando dietro i paraventi e del cinema di Olmi, tutto teso a un riflesso cinematografico che cela, dietro i paraventi dell’immagine, un profondo senso umanista della vita, filtrato dalla sensibilità artistica dell’autore. A un certo punto, questo concetto viene anche esplicitato nelle parole di Bud Spencer, quando dice: “I fatti a cui state assistendo sono realmente accaduti e attraverso il gioco della rappresentazione ne conoscerete gli esiti. Il

“Il disagio urbano e contemporaneo secondo Olmi. Un certo giorno è un film che si muove in linea con il resto del cinema olmiano, che è un’analisi sull’esistenza racchiusa nella dicotomia dei concetti di “inizio” e di “fine”. Estratto del booklet interno.

Sono passati ben 36 anni dal primo film, quel Top Gun un po’ reazionario e molto reaganiano e con un sottofondo machista tipico dei military movie degli anni Ottanta. Non lo abbiamo mai considerato un capolavoro, ma semplicemente un film discreto e divertente con un sapiente dosaggio dei vari elementi e con grandiose scene d’azione aeree sui cieli americani. Tom Cruise, in uno dei personaggi più importanti della sua carriera, ha sempre dichiarato che avrebbe fatto un sequel di Top