dal 1999 testimone di un’evoluzione

“Film leggendario, mitizzato e invisibile, quasi inedito in homevideo (in rete si trovava a fatica la registrazione di un vecchio Fuori orario o un riversamento del pessimo e incompleto dvd giapponese), ma anche film impopolare e per pochi, forse inguardabile tutto di fila (dura tre ore e quaranta minuti), La Maman et la Putain di Jean Eustache viene distribuito restaurato nelle sale italiane. Girato nel maggio 1972, Gran premio della giuria a Cannes 1973, ha per protagonista Alexandre (Jean-Pierre Léaud), un trentenne parigino nullafacente

“Il castello invisibile è una storia commovente e incoraggiante di passaggio all'età adulta; è una pellicola onesta non solo nel confronto con il bullismo ma anche nella disamina di tematiche quali l'amicizia, l'identità e l'integrazione, e di sentimenti come il dolore, l'incomprensione e la compassione. Il realismo appena accennato eppure agghiacciante delle angherie subite - in particolar modo nel flashback su Aki - dai protagonisti è filtrato attraverso la lente – anzi, attraverso lo specchio – del regno incantato. Quello

“Non fatevi sfuggire questo film: è la più bella sorpresa di questo inizio di stagione, prima che entrino in campo i colossi veneziani. È vero che è un film d’animazione (a passo uno, con i pupazzetti, come quelli di Wallace e Gromit) ma qui non c’è niente (o quasi) da ridere, piuttosto c’è la malinconia e la delicatezza con cui il regista ricostruisce la storia dei suoi nonni, emigrati all’inizio del secolo dal Piemonte alla Francia. Ughetto come lui, la

“La coscienza di un uomo è il suo bene più prezioso. Quello che gli uomini non sanno, però, è che le loro coscienze abitano un mondo parallelo al nostro. E se le cose da noi non vanno granché bene, non è che di là, nel Mondo Altro, si stia meglio. Le coscienze sono scoraggiate, demotivate, inascoltate. Tutte, tranne una. Otto è la migliore coscienza d’Italia perché Filippo, il suo ‘protetto’, lo segue ciecamente, garantendogli punteggi clamorosi. Almeno finché, alla vigilia

“Cesare Pavese parlando del romanzo “La bella estate” lo descrive come la storia di “una verginità che si difende”. Nel film forse ora è divenuta è la storia di una “verginità che si trasforma”. È la storia di un corpo, quello di Ginia, che cresce, desidera, vuole esser visto e amato. La storia di qualsiasi donna che entra nell’età adulta, in qualsiasi epoca in qualsiasi luogo. Il meraviglioso sguardo “femminile” di Pavese sul mondo, sui desideri, sull’amore e sugli uomini

“Sardegna oggi. Rudy è un malavitoso del tutto privo di scrupoli. La sua unica regola di vita è la sopraffazione che esercita sia con l'intimidazione raccogliendo il pizzo dai ristoratori, sia con la violenza fisica. Un giorno si trova a doversi occupare, dopo un lungo ed indifferente distacco, della figlia che è affetta da una malattia neuro degenerativa. Il rapporto tra i due è di freddezza e disprezzo anche se Rudy sembra volersi occupare della sistemazione della ragazza in una

Nato a Shangai nel 1958, Wong Kar-wai si è trasferito a Hong Kong all’età di cinque anni. Studente di design grafico al Politecnico di Hong Kong, ha sviluppato un grande interesse per la fotografia e in particolare per il lavoro di Robert Frank, Henri Cartier-Bresson e Richard Avedon. Dopo il diploma, nel 1980, Wong Kar-wai ha frequentato un corso di formazione dell'Hong Kong Television Broadcasts Ltd, e presto ha cominciato a lavorare come assistente alla produzione in diversi serial televisivi.

“Ne Il toro ci sono tutti gli elementi della tradizione classica del western – pensavo a Il grande cielo, al punto di vista che ha Hawks, così morale, democratico, alla sua idea del commercio, della libertà – assieme a un’attenzione un po’ imbarazzata al contesto dell’oggi. Quindi la mandria non è più una mandria, ma una valigia-merce che l’Occidente ha, una tecnologia che può servire. Il film ovviamente non ha più il respiro dello spostamento, del selvaggio. C’è però l’uso

“Opera prima di Luca Scivoletto, è una divertente commedia sulle contraddizioni della politica e della vita, con un giovane protagonista nerd cui è stato proibito – per coerenza ideologica – di vedere Rambo o giocare a Nintendo. L’approccio è scherzoso e simpatico, ma il tema ha una sua ragion d’essere e lo smarrimento politico, che diventa disagio esistenziale e finisce per intenerire anche il fantasma di Berlinguer, fa sorridere ma anche pensare.” Paolo Mereghetti, IoDonna.

“Wilhelm Meister è un giovane aspirante scrittore, in viaggio dalla città natale Glückstadt. In fuga da una madre oppressiva e dal suo passato, Meister intraprende un viaggio attraverso la Germania raccogliendo intorno a sé un insolito gruppo di amici, per poi giungere, da solo, sullo Zugspitze. Nella letteratura del XIX secolo, in particolare nel Bildungsroman tedesco, il topos del viaggio è sempre legato a cambiamenti ed esperienze significative e durature; il viaggio è sinonimo di ricerca riuscita della propria identità. Ma il